C’era una volta l’Alfa Romeo

Novembre 1984. Vigilia del 75° anniversario dell’Alfa Romeo e, malgrado a Roma nella zona del “potere politico”, tra via Veneto sede dell’IRI/Finmeccanica e la vicina via Sallustiana sede del Ministero delle Partecipazioni Statali nonché a Torino, in Corso Agnelli, sede della Fiat, già si parlasse di cessione (sciagurata) dell’Azienda, ad Arese si organizzavano i festeggiamenti del grande evento addirittura con il lancio di una nuova bella ed interessante vettura frutto del Centro Stile Alfa Romeo, la 75, destinata ad avere grande successo, sul mercato e sulle piste.

  Lucio Peronace, allora Direttore Generale Alfa Romeo per l’Organizzazione e il Management, inviò una bella lettera a tutti i Dirigenti allegando una pubblicazione in varie lingue (by Relazioni Esterne) che ricordava la storia e i successi dell’Azienda, la sua presenza nel mondo e gli sforzi per “mantenerla autonoma e competitiva sul mercato” con prefazione del Presidente Ettore Massacesi.

Ormai è diventata una pubblicazione rara e dimenticata ma, letta oggi, estremamente struggente. Una magnifica Azienda, modernissima e all’avanguardia per i tempi, fortemente presente ed attiva in ogni parte del mondo, storicamente gravata da pressioni politiche e clientelari (costruzione nuovi stabilimenti di Pomigliano d’Arco), fu svenduta e smembrata nel giro di un paio di anni.
E quindi si, una volta c’era l’Alfa Romeo come anche tante altre imprese che resero l’Italia un paese leader nel mondo per genialità, eccellenza e soprattutto per stile. La globalizzazione incontrollata e la assurda miopia “politica”, condite da interessi di partito, presunzione ed ignoranza ma soprattutto gestite da una regìa di lobby molto forti, indirizzarono l’Alfa, prestigiosa azienda di Stato, verso soluzioni che ne mortificarono tradizioni ed eccellenze piuttosto che attivare opportuni e mirati piani di ristrutturazione. Basta leggersi le carte per capire quale enorme danno economico e industriale sia stato arrecato al paese con la scusa di evitare addirittura scomode concorrenze dentro casa. Si attivò persino la Commissione Europea per accertare la regolarità dell’operazione e la sussistenza di “aiuti” da parte dello Stato italiano.
L’Alfa Romeo, al 1983, presentava un fatturato di 2.650,4 miliardi di lire a fronte di investimenti in immobilizzazioni tecniche di 290 miliardi; aveva 40.000 dipendenti (di cui 2.280 all’estero), 12 unità produttive e 37 società facenti capo ad essa, di cui 22 operanti all’estero, con migliaia di vetture prodotte.
  Circa poi la strategia delle collaborazioni, oggi assolutamente necessarie, come peraltro lo dimostrano i grandi accordi tra le case produttrici tra cui quello recente Fiat-PSA (niente a che vedere con l’urologia), l’Alfa era sempre stata molto preveggente, attenta e attiva, sia nel campo della ricerca e sviluppo, anche con scambi di know how tecnologico, sia nelle attività commerciali e di fornitura. “Le limitate dimensioni dell’Alfa Romeo in rapporto alla situazione del mercato automobilistico e la parziale sottoutilizzazione degli impianti produttivi (N.d.A.: gonfiati al Sud solo per volontà politica e non certo per necessità industriale) impongono accordi e collaborazioni con altre case. Con la Nissan si produce l’Arna a Pomigliano d’Arco mentre con la Fiat si stipula un accordo teso a raggiungere la massima copertura di mercato nel segmento delle vetture medio grandi pur nel rispetto dell’immagine e delle tradizioni di ciascun marchio, nonché di veicoli commerciali con Iveco e Fiat Auto”. In sud Africa si assemblavano anche auto per la giapponese Daihatsu e nel settore Avio parti di motori per General Electric, Tourbounion e Rolls Royce. Come riportavano notizie e dati ufficialmente diramati e pubblicati dall’Alfa nel dicembre 1983.
  Per l’Alfa i problemi più grossi derivavano però dal sud. Non certo dall’Alfasud o dall’Arna, che erano peraltro ottime vetture, quanto piuttosto dalla “turbolenta” situazione sociale e sindacale non solo ad Arese ma particolarmente nel meridione e proprio nelle località dove erano stati costruiti i nuovi stabilimenti. Enzo Ferrari nel suo libro “Le briglie del successo” del 1970 ricordava che “la gente del nord il lavoro lo chiama lavoro; nel sud lo chiama fatica o travaglio” …. E quindi l’Azienda, gravata da pesi inutili e ormai sempre più costosi da gestire, avrebbe avuto assoluto e urgente bisogno di un serio e valido piano di ristrutturazione, lontano da ogni indebita ingerenza. Le politiche di allora decisero diversamente.
“Abbiamo annesso una provincia debole” dichiarò l’Avv. Gianni Agnelli, presidente Fiat ….. Ma come risorse, tecnologie e fascia di prodotti l’Alfa allora non era seconda a nessuno, forse solo alla Mercedes. Insomma l’Alfa che in fondo grazie alla Fiat era cresciuta, alla Fiat tornò a capo chino. Fu infatti in Fiat che circa 100 anni fa l’occhio di falco di Enzo Ferrari individuò e fece assumere al Portello i valenti progettisti Jano e Bazzi, futuri artefici dei grandi successi e del mito Alfa Romeo di cui quest’anno, 2020, ricorrono i suoi 110 anni di vita. Forse gli ultimi esclusivamente italiani ….

Stefano d’Amico

 

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