Giovanni Canestrini e la Targa Florio
Giovanni Canestrini (1893-1975) fu probabilmente il più grande giornalista italiano nel settore motoristico, colui che contribuì in gran parte, con vero entusiasmo e intima passione, a far nascere e sviluppare l’epopea di gare come la Mille Miglia e la Targa Florio raccontandone dal vivo con naturalezza ed efficacia le storie, i piloti, le imprese, gli aneddoti, … dalle moto alle auto, dagli scafi agli aerei.
Da vero siciliano con un gran fuoco dentro ma anche con la attenta competenza dell’ingegnere che era, fu tra i protagonisti e i testimoni della storia dell’automobilismo italiano, quella vera, quella da cui tutto è sorto e quella che noi oggi raccontiamo ed esaltiamo. Gli articoli di Canestrini animarono passioni, tifoserie, rivalità, agonismi, …. e persino emulazioni sulle strade e bastonate nei bar!, ma costruirono anche glorie e leggende ancora vive ai nostri giorni.
Nel 1924 fu assunto alla Gazzetta dello Sport di Emilio Colombo nella rubrica sul motorismo che lui seppe via via trasformare in una impareggiabile e seguita vetrina sul settore, che accese subito oltre che i motori anche gli animi degli sportivi italiani e quindi entusiasmi sempre crescenti in tutto il paese. Negli anni ‘60 passò al Corriere della Sera sempre con immutate sensibilità ed attenzioni giornalistiche.
Nel 1926, insieme a un gruppetto di arcinoti amici suoi, grandi appassionati di corse (Franco Mazzotti, Renzo Castagneto, Aymo Maggi), tutti riuniti a Milano in casa sua a via Crespi, fondò una corsa destinata ad entrare nella leggenda delle competizioni automobilistiche, la Mille Miglia. Un progetto talmente importante, anche come immagine di un’Italia capace, sportiva ed operosa, che alla richiesta di autorizzazione il Capo del Governo, Benito Mussolini, rispose subito con solo due parole, laconiche e categoriche: “Si faccia”!
Figura elegante e brillante, con l’immancabile pipa o un bel toscano in bocca, Canestrini fu amico di tutti, stimato e rispettato, ascoltato e anche invidiato, ma sempre un palmo più in alto, autore di numerosi libri ed infiniti articoli sugli aspetti tecnici e sportivi delle auto e non solo, tutti di estremo interesse per ogni vero storico e appassionato del settore.
Con Vincenzo Florio si conobbero nel 1927, quando Canestrini, inviato della Gazzetta dello Sport, si recò a Palermo per la cronaca della 18° Targa, quella vinta dalla Bugatti 35 di Emilio Materassi. Si conobbero e si intesero immediatamente, entrambi avevano inventato due corse affascinanti destinate ad entrare nella leggenda dell’automobilismo ed entrambi erano animati da un entusiasmo e da una passione fuori dal comune da cui nacque via via una lunga intensa amicizia, costantemente ravvivata da continue polemiche e discussioni su ciò che era meglio fare o non fare!
Qui riportiamo un suo suggestivo e coinvolgente articolo sulla Targa Florio.
Una gara unica al mondo …
Se la prima impressione è quella che conta, io dovrei conservare della Targa Florio un ricordo sgradevole, come di mal di mare. Poiché era un autentico mal di mare quel malessere che mi aveva assalito verso la fine dei lunghi 108 chilometri del Circuito delle Madonie, la prima volta che lo percorsi dopo aver infilato, una dopo l’altra, tutte quelle curve; quante non so dirvi, benché mi fossi prefisso di contarle.
Il caso non era nuovo; lo stesso Werner, all’arrivo della sua gara vittoriosa (1924, 15° Targa, su Mercedes. N.d.R.), aveva dovuto sottrarsi temporaneamente all’entusiasmo dei suoi ammiratori per riconquistare il senso della terra ferma. Perché il Circuito delle Madonie non è un percorso stradale come tanti altri, sia pure celebri per le loro difficoltà, è una burrasca di curve che dura per oltre cento chilometri. A percorrerlo in corsa, alle medie che oggi si raggiungono, si ha più l’impressione di trovarsi su un motoscafo alle prese con le più capricciose onde marine che non su di una macchina stabilmente piazzata su quattro ruote. Avete mai provato a contare le onde del mare? Compito piuttosto arduo, no? Ebbene, lo stesso sarebbe voler contare le curve del Circuito delle Madonie. C’è chi dice che sono 1500; chi dice che son più di 2000; chi non meno di 5000.
Io non posso dirvelo per via del mio mal di mare; ma è certo che sono tante, tante, e l’una diversa dall’altra, e l’una all’altra vicinissima, si che giustifico l’impressione alla burrasca di curve in cui venni a trovarmi in quell’indimenticabile primo giro del Circuito così caro a Vincenzo Florio, non per nulla amatore di navi e organizzazioni; amatore e campione degli sports meccanici, in terra ed in acqua.
Con più calma rifeci quelle strade, ove annualmente da cinque anni vi ritorno, ed in me, onesto spettatore, aumenta l’ammirazione per questa gara, e sempre più capisco il fascino che essa esercita sugli appassionati della guida. È il fascino della difficoltà e del rischio. Il vero automobilista non ama le strade facili, come il vero marinaio non ama il mare tranquillo. Il guidatore che ha portato a termine, non importa se primo o ultimo, una Targa Florio deve provare lo stesso orgoglio del nocchiero che ha condotto in porto la sua nave attraverso la tempesta. Perché per poter fare una Targa non bastano qualità comuni del guidatore, occorre quella che si dice classe, ossia quel complesso di doti che fanno del guidatore un artista della guida. Ma anche questo non basta. Bisogna essere Campioni di grido: gente che ha fatto migliaia e migliaia di chilometri in corsa e che conta le vittorie a decine in gare di ogni genere quando corre la Targa o incominci la preparazione parecchie settimane, e magari qualche mese, prima.
Le difficoltà della Targa non sono una leggenda. Se lo fossero la leggenda sarebbe caduta da un pezzo mentre invece la gara siciliana rimane la corsa che consacra il campione, e quando si dice, in Italia e all’estero: il tale ha fatto la Targa è come dire: “giù il cappello, è un campione sul serio”. E non per nulla quando si parla delle difficoltà di un percorso s’usa dire: “è una piccola Targa Florio”; se poi lo senti dire all’estero, come io tante volte l’intesi, esulto d’orgoglio perché la Targa Florio è una sola ed è vanto dell’automobilismo italiano.
E come in Italia vengono da tutte le parti del mondo per ammirare le bellezze della nostra terra, i capolavori della nostra arte, le vestigia della nostra civiltà millenaria, così in Italia bisogna venire per vivere, come attore o come spettatore, questa gara che non ha eguali. E quando un costruttore, italiano o straniero che sia, vuole dare lustro alla sua marca e garantire la bontà della sua produzione e delle sue vetture non ha da scegliere che questa gara; la sola che agli occhi del pubblico di tutto il mondo dia il responso che non si discute. Remota o recente, la consacrazione della Targa l’ebbero tutte le grandi marche europee.
È ormai ventidue anni che si corre la Targa e ne son passati di uomini e macchine nelle memorabili battaglie che si sono combattute nel nome del Pioniere siciliano. Se tu ne rifai la storia è tutto l’automobilismo italiano che passa dinanzi ai tuoi occhi, come in una visione, con le sue manifestazioni, lieti o tristi, con i suoi campioni, con le sue conquiste. E al tuo cuore di italiano e di sportivo la Targa Florio appare allora non più come una comune manifestazione di tecnica o di sport o di propaganda, ma come l’espressione più completa e più potente delle nostre conquiste in un campo che sembrava precluso a noi, popolo di artisti, di poeti e di guerrieri.
E Cerda, Polizzi, Campofelice, Caltavuturo devono risuonare al tuo orecchio come nomi di battaglia e di vittorie. Piccoli, grigi paesi sperduti sullo squallido altipiano delle Madonie che hanno la loro storia e che ventidue anni or sono ebbero la ventura di salutare nella prima battaglia la prima vittoria italica, che aveva appunto nome “Itala” (quella di Antonio Cagno, n.d.r.).
Giovanni Canestrini
Stefano d’Amico
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