Alfa Romeo 158/159
Campione del Mondo 1950 e 1951
Succedeva 70 anni fa…
La 159. Niente a che vedere con la berlina prodotta dall’Alfa Romeo dal 2005 al 2011, diretta discendente della 156 che, a differenza di questa, che pur ne riprendeva le belle linee disegnate da Walter de’ Silva, ebbe un enorme successo. Però, forse per nobilitarla commercialmente, le fu dato un nome davvero mitico: 159, come l’Alfetta vincitrice dei Campionati del Mondo F1 del 1950 e 1951 con Nino Farina e Manuel Fangio.
Una vettura da corsa straordinaria non tanto per la meccanica, abbastanza convenzionale per i tempi, quanto soprattutto per la leggenda racchiusa nel marchio che rappresentava e per le vittorie e le gioie che l’Alfa restituiva al Paese e agli italiani usciti massacrati da una guerra mondiale appena terminata. In verità il mondo, letteralmente naufragato nella follia, era uscito assai malconcio da un conflitto lungo e disastroso non solo per gli uomini ma anche per le industrie e lo stesso sport. Nel dopoguerra nessuna Casa automobilistica era quindi in grado di tirar fuori una vettura moderna e competitiva; ci riuscì l’Alfa Romeo che miracolosamente aveva nascosto e salvato dai saccheggi dei tedeschi in fuga, e degli alleati in arrivo, alcune “Alfette” 158 anteguerra. Le 158, sigla per 1500 di cilindrata e 8 cilindri, furono concepite nel 1937 a Modena dalla Scuderia Ferrari, che ancora gestiva il reparto esperienze e sportivo della Casa milanese, con Enzo Ferrari team principal e progettisti Gioacchino Colombo e Alberto Massimino. Erano evoluzioni adeguate ai nuovi regolamenti sportivi delle precedenti 308 e 312 progettate in Alfa Corse. La vettura, con un telaio a longheroni tubolari e traverse in lamiera, pesava circa 630 kg. e aveva un motore sovralimentato con compressore volumetrico Roots per una potenza di circa 250 cavalli a 7.000 giri. La vettura fu subito vincente alla sua prima uscita in gara guidata da Emilio Villoresi, fratello di Gigi, alla Coppa Ciano a Livorno nell’agosto del ’38, iscritta direttamente dal Portello tramite il nuovo reparto sportivo della Casa, l’Alfa Corse, appena costituito dal Direttore Generale Ugo Gobbato che aveva poco prima liquidato, in tutti i sensi, Enzo Ferrari.
Alla fine della guerra l’Alfa, che pur aveva subito pesanti bombardamenti nel 1943 e si era messa a far cucine a gas e infissi per finestre, ritirò fuori le sue auto da corsa e, in particolare, le Alfette 158 recuperate da un magazzino a Milano e persino da una porcilaia a Melzo dove erano state nascoste per l’intero periodo bellico. Le vetture, aggiornate e migliorate, furono subito competitive; la potenza salì via via da 250 ad oltre i 400 cavalli a ben 9000 giri erogati dalla 159 nella versione 1951 con punte di velocità superiori ai 300 kmh. Ovviamente la vettura venne adeguata alle maggiori potenze del propulsore con modifiche all’impianto frenante dai quattro enormi tamburi, al telaio, al ponte e alle sospensioni. Furono numerosi i piloti che, oltre a Villoresi, si susseguirono alla guida di questa magnifica macchina ottenendo successi ovunque: Jean Pierre Wimille, Achille Varzi, Carlo Felice Trossi, il collaudatore Consalvo Sanesi, Alberto Ascari, Piero Taruffi e anche … l’attore Amedeo Nazzari, protagonista con Alida Valli nel ’51 del film “Ultimo incontro” di Gianni Franciolini dove in verità le vere protagoniste erano le rombanti 159 guidate da Sanesi, Farina, Fagioli, Fangio e Bonetto.
Nel 1950, sotto l’egida della FIA e con nuovi regolamenti, partì il Campionato del Mondo F1 che assegnerà il titolo anche ai piloti vincitori. La prima gara, che si volse in Inghilterra, con la presenza addirittura di Re Giorgio VI°, padre dell’attuale regina, vide il predomino assoluto dell’Alfa Romeo, assente invece la Ferrari perché ritenne che l’ingaggio fosse troppo basso. Le 158/159 conquistarono i primi quattro posti con Farina, Fagioli, Fangio e Parnell. Lo squadrone era stato completamente rinnovato e, oltre ai “collaudati” Farina e Fagioli, si aggiunse anche l’argentino Fangio (lo squadrone delle tre F), pilota non più giovanissimo ma fortemente caldeggiato da Varzi che gli aveva messo a disposizione anche una casa, e infine Reg Parnell in omaggio alla nazione ospitante. Le Alfa non ebbero rivali per l’intera stagione aggiudicandosi ben sei Gran Premi su sette e Nino Farina divenne il primo Campione del Mondo di F1.
Nel 1951 l’Alfa schierò una vettura ulteriormente migliorata in potenza, guidabilità e soprattutto velocità, la 159, perfetta e ultima evoluzione della 158. Il debutto in verità avvenne ufficialmente alla conclusione della stagione precedente ed esattamente a Monza per il XXI° Gran Premio d’Italia vinto da Nino Farina mentre per l’annata successiva le vetture milanesi, ormai spremute al massimo, faticarono non poco a mantenere la loro supremazia incalzate sempre di più dalle Ferrari. Riuscirono comunque anche nel ’51 a vincere con Fangio il Campionato del Mondo Marche e Piloti e, a stagione vittoriosamente conclusa, l’Alfa, gravata da una pesante situazione economica e sindacale, come peraltro da sua tradizione, annunciò il ritiro ufficiale dalle competizioni di F1 per dedicarsi esclusivamente alla produzione di vetture di serie.
La Ferrari conquisterà il suo primo Campionato del Mondo F1 nel 1952 con la 500F2 affidata ad Alberto Ascari. Enzo Ferrari cosi rispose al telegramma di congratulazioni inviato dall’Alfa:
“Agosto 1952. Cari Amici dell’Alfa, permettetemi di incominciare così questa lettera che vi scrivo dopo tanti anni. Il vostro telegramma di oggi mi ha portato una ventata di primavera e nel cielo terso ho letto, con chiarezza sconcertante, l’intero libro dei nostri ricordi. Vent’anni ho vissuto con voi; quanti fatti, avvenimenti, uomini sono passati! Tutto e tutti oggi ho ricordato. Ho ancora per la nostra Alfa, siatene certi, l’adolescente tenerezza del primo amore, l’affetto immacolato per la mamma! Credetemi. Vostro Enzo Ferrari”.
(Ho voluto riportare la lettera di Ferrari in viola, il colore di ogni suo scritto).
L’Alfa riapparirà sulle piste di F1 vent’anni dopo, nel 1971, con la sola fornitura alla March di motori 8 cilindri derivati dai prototipi 33/3 (piloti: De Adamich e Nanni Galli). Bisognerà attendere il 1975 per rivedere un’Alfa F1 in pista, la Brabham-Alfa Romeo BT45 mossa dal boxer 12 cilindri, una vettura concepita da Gordon Murray e Carlo Chiti, Direttore dell’Autodelta, reparto sportivo della Casa milanese (piloti: Carlos Pace e Carlos Reutemann).
Tornando alla 158/159 è interessante sapere che il suo carburante non era la benzina usuale ma una miscela particolare e piuttosto complessa studiata e sperimentata sulle Alfa da corsa dall’ing. Somazzi della Shell, amico di lunga data di Ferrari e fornitore ufficiale della sua Scuderia. Era composta soprattutto da alcool metilico al 97,5%, acqua distillata all’1,5% per rallentare la corrosione e infine olio di ricino all’1% per lubrificare i lobi del compressore. Le dosi dovevano essere assolutamente perfette ed equilibrate per non rischiare di rovinare il motore, interamente in magnesio, compromettendone affidabilità e rendimento. Abbastanza empirica la prova per avere una miscela perfetta, prova che veniva effettuata semplicemente immergendo un pezzo di magnesio dentro quel mefitico intruglio attendendo poi qualche ora per vedere che succedeva! Venivano quindi montate candele di gradazione molto calda, il motore veniva messo in moto con un avviatore elettrico e riscaldato vari minuti con benzina tradizionale mentre un meccanico esperto “lavorava” sul carburatore. Raggiunte quindi le temperature ottimali si svuotava la benzina residua dal serbatoio e si metteva il metanolo, altamente infiammabile, con mille precauzioni; si sostituivano poi le candele con altre più o meno fredde secondo i circuiti, per evitare di bucare qualche pistone; seguiva un altro robusto cicchetto al carburatore e … via tra nubi di fumo puzzolente e un frastuono lacerante! Rientrati ai box procedura inversa: svuotare di nuovo tutto, rimettere benzina e candele normali e fare infine girare un po’ il motore per pulizia generale ed evitare depositi di residui corrosivi all’interno. Certo le procedure erano molto “macchinose” ma non tanto lontane poi da quelle attuali.
Succede oggi …
La guida. Sono passati 70 anni, ma è sempre entusiasmante! Ne posso parlare perché ho avuto la fortuna di guidare più volte la 159 grazie alla cortesia del Museo Alfa Romeo di Arese, forse commossi dalla mia passione e dal mio entusiasmo. Già il solo assistere ai lunghi preparativi per la messa in moto e in pista della vettura è qualcosa di emozionante. Intanto i meccanici che operano intorno ad essa; li ricordo tutti con affetto ed amicizia, e in particolare il Bonini, grande collaudatore, Maurizio Monti suo discepolo, il longilineo Rigoni, … eccezionale la loro perizia e sintonia. Facevano parte della vecchia guardia, di quel capitale intangibile di cui l’Alfa è stata custode per cento anni. Un capitale fatto di tradizioni e di eccellenze in cui l’anziano trasmetteva al più giovane antiche conoscenze e passate esperienze sì che le tradizioni della Casa non si perdessero nel suo divenire. Enzo Ferrari diceva che “in Alfa c’erano meccanici che sapevano fare i guanti alle mosche!”.
Guidare auto così lontane e diverse da quelle attuali non è affatto facile; bisogna conoscerle, amarle, capirle ma guidarle bene penso che oggi sia davvero un’arte rara cui si arriva solo con una forte passione dentro. Con una vettura del genere poi …
Il sedersi al posto di guida, peraltro non scomodo, su quel sedile in vellutino chiaro consumato da culi tanto illustri già incute non solo rispetto ma parecchia soggezione. Impugni un enorme volante in legno, quello che ha stretto Fangio, quello con cui ha vinto il Campionato del Mondo, … e ti rendi conto di essere un sacrilego! Sono seduto sulla leggenda, su una macchina il cui stemma sul radiatore racchiude storie esaltanti di uomini e di sfide. Ma vengo subito risvegliato dagli incitamenti dei meccanici: ”Stefano vai!!, parti subito, forza, non far sporcare le candele, ..!” : Si fa presto a dire; cambio non sincronizzato, acceleratore al centro, tra frizione e freno, con gamba e piede destro che tremano, cuore a mille, e poi quel rombo poderoso che si sprigiona dallo scarico. Intorno la gente si ottura le orecchie mentre la 159 vola via con i pneumatici posteriori che si gonfiano per l’accelerazione e la forza centrifuga. E’ andata, ora si è soli, o forse no; troppa storia c’è là dentro. Una bella doppietta, non facile perché la frizione è un po’ duretta, ma le marce scorrono via con una coppia mostruosa e la velocità è davvero notevole. Siamo a Monza, proprio dove questa leggenda è nata e cresciuta, dove la 159 ha sempre vinto; la pista scorre via ma i dolori arrivano alla staccata della Campari, infatti la prima volta vado dritto. I freni, o meglio i rallentatori, non sono certo affidabili: ma come facevano quelli? Però poi più giri, più impari e più ti abitui a quello sterzo duro ma sicuro. Stacchi, anzi rallenti prima e acceleri prima; leggera derapata e di nuovo via in accelerazione. La fregatura è che più la guidi più impari a conoscerla e prendi così anche maggior confidenza con quest’arma da guerra, le sue scontrosità e le sue allegrie, e nello stesso tempo ti accorgi di andare sempre un po’ più forte. Poiché però gran pilota non sono e scemo neppure … è meglio rientrare ai box e … restare senza parole continuando a sognare … su gambe malferme.
Stefano d’Amico
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